L’ Amicizia – Parte 4

l'amicizia parte 4

56.

In un vero ed equilibrato rapporto di amicizia fra due soggetti, non bisognerebbe mai che nessuna delle due persone amiche si preoccupi né di ciò che possa ricevere dall’altro né di ciò che possa offrire in risposta, in ricambio all’altro. Per quanto il dare rappresenti contrariamente all’avere il presupposto della relazione fra amici non è dalla sua quantità che si può misurare la spontaneità del proprio sentimento di amicizia ma dalla sua qualità: dal dare all’altro tutto e fino in fondo quanto sia nelle proprie capacità e nei propri mezzi. L’amicizia deve essere priva e libera da schemi di qualsiasi genere che rendano il rapporto impostato, premeditato, non genuino. L’unica “legge” a cui l’amicizia deve sottostare e rispondere è quella della spontaneità e della libera e completa donazione della propria interiorità e presenza all’altro.

57.

In un rapporto di amicizia sentito e paritario fra due soggetti, il momento del dare, la donazione spontanea di sé all’altro, non deve permettere di credere che questo consenta di accampare dei diritti particolari su di esso, di pretendere alcunché di specifico. Soprattutto non si può pretendere una forma precisa e definita di riconoscimento, un qualcosa che bilanci più quantitativamente che qualitativamente quanto si offre, poiché essendo ogni essere diverso, unico nella sua esistenza, anche la dimensione e la capacità del suo ricambiare sarà filtrata dalla sua interiorità singolare e particolare, dal suo modo irripetibile e personale di esistere. Unica condizione per il realizzarsi di una salda amicizia fra due presone amiche è la reciproca e comune, disinteressata trasparenza dell’interiorità, nella disponibilità per l’altro, nell’esserci, nel sempre essere presente e accogliente dell’amico e per l’amico comunque, dovunque, in ogni quando.

58.

I requisiti, le regole necessarie alla creazione di un solidale e libero rapporto di amicizia fra due soggetti, sembrano essere molteplici ma tutte fondamentalmente riconducibili a un dare e avere bilanciato all’interno della relazione, alla sincera accettazione dell’altrui interiorità e alla donazione spontanea della propria all’altro. A sua volta, l’equilibrio di questa norma del dare e dell’avere bilanciato si regge prima di tutto sulla piena conoscenza, accettazione e pacificazione della propria interiorità con sé stessa. Pacificazione dell’interiorità senza la quale ogni altro essere esistente non è e non può essere considerato mai fino in fondo un amico vero, ma resta sempre in parte estraneo, nemico. Questo accade poiché il proprio profondo sé resta per sé, a sé inconoscibile, alieno, frammentato in delle schegge: fondamentalmente sconosciuto ed altro. Affinché un soggetto possa mai essere un vero amico per l’altro bisogna prima che egli sia prima il migliore amico di sé stesso.

59.

La persona che si incontra sul proprio e personale cammino sulla strada del cambiamento con cui non si riesce per motivi vari e contingenti ad avere una relazione non superficiale, un rapporto di amicizia, viene spesso inclusa nella generica categoria degli altri. Altro è un termine che quando è usato per connotare e raggruppare le altre persone esistenti al mondo, la gente, in generale comunemente detta, tende ad assumere un significato a cui si associa un qualcosa di negativo, di indefinito, di sconosciuto, quasi inquietante per la propria interiorità che lo pensa e lo pronuncia. Eppure senza che ci si renda conto di ciò proprio quella moltitudine di persone “Altro” a volte disprezzata, che silentemente sembra circondare la propria esistenza minacciandola e opprimendola cela al suo interno la possibilità di infinite e insperate appaganti amicizie. Fra le persone “Altro” ve ne sono sempre alcune che se conosciute saranno pronte a compiere azioni che nessuno di loro potrebbe mai immaginare di essere capace di compiere per sé e tanto meno per un altro; questo rendere possibile ciò che sembrerebbe impossibile è uno dei significati ultimi celati e riposti nella parola amicizia.

60.

Il reale luogo appartenente all’amicizia, in cui essa può concretizzarsi, divenire sincera, svilupparsi e consolidarsi non è solo e soprattutto l’altro fuori di sé ma anche la propria interiorità, a condizione che essa sia in pace con sé stessa. L’amicizia solidale e disinteressata non deve essere vista come un qualcosa di utopico e mai di possibilmente reale, poiché affidata alle persone presenti fuori da sé, ma una convinzione, un che, a cui si deve principalmente credere nella propria interiorità: un compito non esclusivamente per l’altro ma, soprattutto e primariamente, anche per sé stessi. Senza l’apertura della propria interiorità all’altro, la volontà di scoprire sé stessi rendendosi vulnerabili e accettando contemporaneamente le differenze altrui; senza il desiderio di intessere rapporti che portino a fondere il proprio cammino sulla strada del cambiamento con quello di un soggetto diverso da sé, l’amicizia resterà sempre e solo un’intenzione e mai un qualcosa di concreto e reale. Se non si è disposti a rischiare di uscire da sé, a portare l’amicizia fuori dalla propria idealità, essa lì sarà seppellita assieme alla propria isolata interiorità.