La Gente – Parte 1

la gente parte 1

Attorno a me senza un maestro, un compagno amico tutto mi sembra farsi freddamente estraneo,

ogni persona vista fra la gente mi è ombra aliena come forse io posso apparire allo sguardo loro.

In un nessuno mi si muta ogni altro attorno, ma io non voglio esser per loro un uno temporaneo,

perché se destinato a sparire senza poter lasciare in essi traccia, io nel mio profondo mi addoloro.

61.

Con il termine gente, un soggetto spesso intende nel linguaggio quotidiano, comune, la somma delle persone altre da sé; gli altri individui fuori dal proprio gruppo di frequentazioni giornaliere che costituiscono la propria rete di conoscenze, di amicizie o di rapporti d’amore e di parentela. Una simile definizione di gente, elaborata da un soggetto nella sua interiorità, viene a caratterizzarsi a partire dal negativo, da una scelta che esclude e lascia fuori dalla sua esistenza tutti gli altri che non conosce direttamente, portando ad associare il termine gente ad una nozione vaga, confusa e riduttiva, comunque alfine sinonimo di estraneità. Un soggetto dovrebbe comprendere che la gente è sì costituita da degli altri estranei ma che però questi possono sempre trasformarsi, improvvisamente e inaspettatamente, da anonimi nessuno per sé in qualcuno, invece, di molto importante: in una presenza necessaria per la propria interiorità per meglio compiere e completare il proprio personale cammino sulla strada del cambiamento.

62.

Un soggetto non deve associare il termine gente al concetto di estraneità, ma a quello più eterogeneo e meno restrittivo di altro, a cui di conseguenza non va mai unita nessuna considerazione o connotazione di carattere negativo, riduttiva o pregiudiziale, che ne sminuisca invece la positività e le possibilità ad esso legate. L’altro, per un soggetto, oltre a rappresentare ogni essere che non includa sé stesso, esistente al mondo, deve essere soprattutto considerato come figura ineliminabile e imprescindibile del proprio esistere, presupposto e termine dell’uscita dal proprio sé, della comunicazione, della formazione, della crescita, della propria interiorità, per sé come per ognuno. Un soggetto deve essere capace di comprendere che tutti si è per tutti spesso solo degli altri, a seconda del punto di osservazione del mondo, che il proprio sguardo che parte da sé posandosi sull’altro viene a sua volta ricambiato dall’osservato che getta, il proprio verso chi lo osserva, che vede un altro diverso da sé e così via per ognuno. Se la gente, che è composta per un soggetto da sé e da ogni altro da sé, alla fine raggruppa tutti i soggetti esistenti al mondo indistintamente. Il termine gente designa una prospettiva personale e diversa per ognuno, poiché osservata da ciascuno da una angolazione sempre diversa attraverso la propria apertura dell’interiorità, che è lo sguardo, unica e insostituibile.

63.

Ogni soggetto in grado di comprendere, nella propria interiorità, che esistendo al mondo ogni sé è anche contemporaneamente un altro, che l’individualità e l’estraneità sono legate in maniera inscindibile, sarà in grado di capire che l’unico modo di rapportarsi di ognuno con ognuno per dare vita a delle relazioni disinteressate e sincere deve essere specchio del modo con cui nella propria interiorità ci si rapporta o rapporterebbe mai a sé stessi. La regola aurea del rapporto intersoggettivo non dovrebbe per un soggetto semplicemente essere: “Non fare agli altri quello che non faresti mai a te” ma arricchirsi, specificando anche il fattore di precedenza da accordare all’altro rispetto a sé stessi, divenendo “Fai prima agli altri ciò che prima ed esclusivamente saresti portato a fare per te”. Un soggetto per creare un puro rapporto intersoggettivo, privo di secondi fini, non dovrebbe solo essere per l’altro, presente per lui, ma spesso anche anteporlo a sé stesso, ai propri bisogni e necessità, fare prima per l’altro quello che si sarebbe portati a fare per sé e probabilmente desidereresti che l’altro facesse per te.

64.

Per un soggetto alla base di un formale e distaccato o istituzionale rapporto intersoggettivo, comunque leale verso l’altro e di esso riguardoso, deve sempre esserci il rispetto dell’altrui esteriorità, prima che dell’interiorità, unica cosa cogliibile attraverso lo sguardo nel caso di una conoscenza e di una relazione superficiale con esso. Un soggetto non può arrivare a conoscere, in maniera profonda e sufficiente a generare un rapporto di amicizia o d’amore, ogni interiorità altra incontrata sul proprio personale cammino sulla strada del cambiamento; perciò, deve comunque e sempre attenersi al positivo e riverente riconoscimento di quanto gli appare o viene volontariamente, o no, mostrato dall’altro. Lo sguardo di un soggetto che si volge verso un altro, non dovrebbe essere mai come fredda lama che lo seziona ed ispeziona, ma caldo abbraccio confortante ed accogliente.

65.

Qualora un soggetto tendesse a fraintendere con analisi frettolosa e superficiale, figlia del pregiudizio, il significato di un’esteriorità altra, comprensibile solo alla luce di una quantomeno approfondita conoscenza della medesima interiorità, si precluderebbe la possibilità di avere un rapporto con essa capace di scalfire il visibile strato di un’essenza, troppo spesso armatura dell’interiorità. L’incapacità di un soggetto a non procedere  nella conoscenza di un altro oltre la sua esteriorità, la superficialità e la fretta nel giudicarlo e scartarlo dal novero delle proprie intime conoscenze, oltre a privare di possibili rapporti di ogni genere per sé importanti, crea una frattura nel tessuto della comunicazione fra la gente che lega tutti “Gli Altri”, isolando le persone in un mondo simile ad un cielo stellato, osservato di notte, fatto di corpi brillanti ma tutti distanti tra loro, avvolti dal buio del nulla.